Sindrome della capanna: dopo la quarantena non si ha voglia di uscire

Sindrome della capanna o del prigioniero è quello che sta colpendo tantissime persone che dal 4 maggio sono uscite fuori dal lockdown per il Coronavirus.

quarantenaSappiamo tutti che dal 4 maggio il lungo periodo di lockdown per il Coronavirus è finito e seppur con delle restrizioni, si può tornare ad uscire, ma sembra proprio che non a tutti la cosa vada bene.

Dopo questa quarantena sembra che ci siano delle persone che a causa dell’ansia abbiamo dei problemi a tornare alla vita di tutti i giorni, riprendendo dei ritmi normali.

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Sindrome della capanna, potremmo non volere uscire di casa

Sindrome della capanna
foto pixabay

Sindrome della capanna, secondo alcuni studi è quella che si sta sviluppando adesso, una volta finita la quarantena forzata dovuta al Coronavirus che ci ha costretti a restare a casa per due mesi.

Stiamo percependo un numero maggiore di persone in difficoltà con l’idea di uscire di nuovo. Abbiamo stabilito un perimetro di sicurezza e ora dobbiamo abbandonarlo in un clima di incertezza” ha raccontato al El País, Timanfaya Hernández, del Collegio Ufficiale di Psicologi di Madrid, aggiungendo: “L’idea di sentirsi a disagio in una situazione che prima era percepita come la normalità può creare in noi un senso di inadeguatezza. Ci si domanda “Come mai prima riuscivo (a uscire) e adesso no?”.

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Insomma sembra proprio che dal 4 maggio non tutti siano in grado di poter riprendere la vita di tutti i giorni, anche semplicemente per paura di allontanarsi da casa o per ansia di riprendere i ritmi normali.

“La differenza sostanziale è che adesso la persona è stata sottoposta a un evento stressante che, nel bene o nel male, ha modificato il suo modo di comportarsi, di vedere le cose” ha ammesso Laura Guaglio, psicologa e psicoterapeuta e continua: “Ci sono diversi fattori che a livello individuale, in questo specifico caso, entrano in gioco ed alimentano la voglia di rimanere tra le mura di casa. Innanzitutto, il rifiutarsi di vedere o accettare che i propri riferimenti siano mutati sensibilmente. Se esco mi rendo conto di com’è cambiato il mondo che conoscevo. Vedo la città deserta, i negozi chiusi, le persone che incontro sono munite di mascherina, guanti. La nuova realtà è impattante, può sconcertare, disorientare, potremmo rigettarla. A questo, poi, si unisce un fattore molto più prosaico: a livello neurobiologico e fisico, meno movimento faccio, meno esco di casa, meno avrò voglia di uscire. A cui, ancora, si sommano le paure sulle probabilità di un contagio”.

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