Coronavirus, Bergamo paradossalmente contro la chiusura: la protesta

La città più martoriata nel corso della prima ondata grida il suo rifiuto al secondo lockdown e chiede libertà.

Volantino Bergamo
Volantino Bergamo (Facebook)

Tutto è partito da un semplice volantino, distribuito in strada, cosi, come si fa di solito in certe occasioni. Distribuirne cento per trovare magari l’attenzione di tre. Cosi a Bergamo, città più colpita nel corso della prima ondata, con ben 11mila morti, è iniziata la protesta, civile, ordinata, che ha sfilato per il centro, e si è diretta fino alla casa del primo cittadino Giorgio Gori, protestando ed inneggiando alla libertà, vietata dal nuovo dpcm.

Perchè casa del sindaco, non è dato saperlo. Certo in questa fase, in quel contesto, rappresenta pur sempre le istituzioni, ma in questo preciso caso, il sindaco di una città può davvero poco contro le imposizioni del Governo nazionale, anzi, di fatto, può davvero niente. Eppure Bergamo protestava, lavoratori autonomi, commercianti, piccoli imprenditori, contro la decisione dell’esecutivo di una nuova chiusura totale.

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Coronavirus, Bergamo paradossalmente contro la chiusura: la crisi si fa sentire

I morti di Bergamo sono ancora rinchiusi nell’immagine dei camion che sfilano, stracolmi di bare. I morti di Bergamo ancora li vediamo nel ricordo di quei tg senza speranza, dei titoli di giornale, nelle riflessioni pessimistiche in tv. Quei morti, simbolo assoluto della tragedia, saranno forse stati per un attimo dimenticati, sfilando, manifestando, protestando contro la chiusura, la seconda, forse la più forte, la più dura, la più amara da digerire.

Il popolo è in difficoltà la cosa è evidente. La protesta esplode naturale anche attraverso un semplice ed innocuo volantino. I morti sono messi da parte per un attimo, ma mai dimenticati. La vita deve andare avanti e senza lavoro non c’è vita. Ecco la protesta, il no gridato forte.

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