Pelle umana, ora è possibile stamparla in 3D: ecco come

  • Un passo in avanti davvero importante, per la medicina. L’esperimento è già in corso da anni. La macchina, riuscirebbe a stampare due strati di pelle
Pelle umana, ora è possibile stamparla in 3D: ecco come
Una stampante di pelle in 3D (Fonte foto: renma.it)

Un esperimento che va avanti dal 2014, ovvero da quando la prima macchina prototipo è stata svelata, per essere poi perfezionata e superata negli anni, da dispositivi sempre più precisi.

La pelle umana è stampabile in 3D, la biostampante è stata sviluppata dai ricercatori del Wake Forest Institute for Regenerative Medicine.

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Pelle umana in 3D, la stampa è possibile

Pelle umana, ora è possibile stamparla in 3D: ecco come
Pelle umana stampata (Fonte foto: ilmessaggero.it)

A quanto pare, oggi tutto o quasi, è risolvibile con una stampa. Dopo la notizia dei primi pannelli solari da stampare direttamente in casa, ora la pelle umana in 3D. Dopo vari esperimenti, una stampante molto dettagliata in grado di riprodurre ben due strati di pelle, è stata finalizzata. Per ora, le dimensioni sono più elevate di quelle di un normale dispositivo portatile, ma non così fastidiose, da non poter essere trasportate presso un ambiente ospedaliero.

A fungere da inchiostro, per la nuova stampante, le cellule stesse, prelevate dal paziente, per evitare un possibile rifiuto da parte del corpo. Un piccolo frammento di pelle viene prelevato, poi, vengono isolati due tipi di cellule della stessa: i fibroblasti e le cheratinociti. I campioni di queste componenti vengono raccolti e poi mischiati in un idrogel che formerà l’inchiostro per la stampante.

Dopodichè il dispositivo non viene accostato alla ferita, ma tramite il suo scanner 3D, elabora un’immagine della tipologia di ferita che andrà a curare. Tramite poi, l’immagine elaborata, la macchina costruisce il tessuto che andrà a coprire la ferita. Dapprima, vengono riprodotti i fibroplasti per riempire le parti più profonde, poi avviene la sovrapposizione di cheratinociti. Grazie a questa tecnica, la ferita si ricompone in maniera più veloce. I primi test sono stati fatti intanto, su topi, e secondo i ricercatori, sperimentare studi clinici in tal senso sull’essere umano non è altro che il prossimo passo da fare.

 

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