Tullio scrive a moglie e figlie: “mi faccio intubare, se va male, vi seguirò dal cielo”

La drammatica storia di Tullio Flamini che fino all’ultimo respiro scriveva a moglie e figlie dal letto della terapia intensiva.

Tullio Flamini fino all’ultimo respiro, ha difeso l’operato di medici e infermieri anche se il loro operato era pessimo e non per colpa loro. Ha sperato fino all’ultimo di potersi salvare dal Covid, ha scritto a moglie e figlie raccontando la sua odissea di malato grave ma trascurato: troppo violenta l’emergenza coronavirus per potere curare tutti con dedizione e attenzione. Lo abbiamo già scritto, il male arriva da molto più lontano: gli ospedali non sono pronti ad affrontare una seconda ondata, nonostante lo scempio della prima quando si decideva chi far vivere e chi morire.

Tullio non poteva vedere i suoi familiari, era solo su quel letto, tuttavia poteva comunicare con moglie e figlie attraverso il cellulare: “Ho finito l’acqua, domani come faccio?”, “Mi sono inventato un alfabeto morse per chiedere aiuto. Dopo un’ora è venuto uno che lo conosceva”, “Il problema è la maschera, è piccola per me, mi fa male ai denti”. Sono alcuni dei messaggi WhatsApp raccolti dalla moglie che ha raccontato la sua odissea in un’intervista a FanPage.

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Tullio scrive a moglie e figlie, l’ultimo messaggio è drammatico

Sono troppo stanco, un bacione a tutti….Tullio non ce l’ha fatta, ha vinto il Covis, dopo essere stato intubato, non si è più svegliato e la moglie Sofia, infermiera presso l’Ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli, ha voluto far conoscere a tutti i messaggi inviati dal marito durante il ricovero.

 

Questo sistema è disumano – dichiara Sofia – si lasciano i parenti senza informazioni per giorni. Io non ce l’ho con i medici o gli infermieri, che sono stremati dall’emergenza e sono degli eroi. Ma è l’organizzazione che non funziona […] Le istituzioni hanno gestito male questa seconda ondata, che si poteva prevedere. Il personale è poco, molti sono giovani alla prima esperienza. I pazienti spesso si sentono soli e abbandonati. Ho fatto portare mio marito in ospedale perché volevo che stesse meglio, ma non l’ho visto più. L’ho rivisto dopo 10 giorni chiuso in un sacco nella sala mortuaria e non gli ho potuto dare neanche un ultimo abbraccio”.

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