L’Angelo di Alfredino: “usciamo e ti compro la bicicletta” Poi l’ultimo bacio

39 anni fa, il 10 giugno 1981, il piccolo Afredo Rampi, sei anni, rimane intrappolato nelle profondità di un pozzo a Vermicino (Roma). Angelo Licheri si presenta volontario per farsi calare nel buco.

Non chiamatelo eroe: “non lo sono mai stato. Sono una persona che ha fatto di tutto per aiutare un bambino”.

39 anni fa, il 10 giugno 1981, il piccolo Afredo Rampi – Alfredino era diventato per tutti gli italiani che seguirono la sua vicenda – sei anni, rimase intrappolato nelle profondità di un pozzo a Vermicino (Roma). Angelo Licheri si presenta volontario per farsi calare nel buco.

Dopo 40 minuti di tentativi, Angelo si arrende, per Alfredo non c’è speranza. Oggi il fantasma di quella tragedia tormenta ancora l’Angelo di Vermicino: “Era così facile salvarlo”.

“Per anni ho sognato la morte”

Angelo Licheri ha portato nei suoi incubi le immagini di quei giorni drammatici. “Per anni ho sognato la morte con la falce e la mezza luna, mi sfidava io le dicevo, se vuoi Alfredino dovrai passare su di me”.

Nel 1981 l’Italia era ancora sconvolta dal terremoto dell’Irpinia e dall’attentato in piazza San Pietro dove fu ferito a colpi di pistola Papa Giovanni Paolo II.

Ma il 10 giugno si consuma l’ennesima tragedia: Alfredo Rampi, sei anni, precipita in un pozzo artesiano tra Frascati e Roma e lì rimane bloccato. La Rai dispone una diretta televisiva no stop sulle operazioni di soccorso.

Per tre giorni tutta l’Italia è con il fiato sospeso. Alfredino eroicamente resiste sotto terra, al buio e con poco ossigeno. L’allora 37enne Alfredo Licheri, sardo, di professione fattorino, si offre volontario per farsi calare nel pozzo.

Il piano dovrebbe essere semplice: arrivare dove gli speleologi con le loro trivelle non sono arrivati, afferrare Alfredino e tirarlo su.

“Mi sono presentato e ho detto: io vengo da Roma, se possibile vorrei rendermi utile. Pastorelli (allora capo dei vigili del fuoco di Roma, ndr) mi chiese: lei soffre di qualcosa? Ha mai avuto… Senta (lo interruppi), non mi dica nulla, mi lasci solo scendere”.

Alle 23 e 50 di venerdì 12 giugno Angelo Licheri viene calato nel cunicolo.  “Appena sceso – racconta – ho toccato le mani del bambino, con un dito gli ho pulito la bocca e poi gli occhi per farglieli aprire, però lui è rimasto immobile, rantolava”.

“Parlavo e lavoravo per liberare la mano per poter infilare l’imbracatura: ‘Quando usciamo di qui ti compro una bicicletta – gli promettevo – i miei bambini ce l’hanno, giocherete insieme. Quando era pronto ho intimato: ‘tiratemi su!’.

Ma la cosa non funzionò, dettero uno strattone e il moschettone si sganciò, “allora ho provato a prenderlo sotto le ascelle ma anche allora davano degli strattoni impossibili. Alla fine ho provato a tirarlo dai polsi. Ho sentito ‘track’, lui neanche si è lamentato”.

“Gli spezzato il polso sinistro. Mi sono quasi sentito in colpa: ‘ha già tanto sofferto e ora sono arrivato io per rompergli anche il polso’.

Ho fatto l’ultimo tentativo, l’ho preso per l’indumento, ma è caduto. Alla fine ho mandato un bacio e sono salito su”. Alfredino morirà soffocato all’alba di sabato.

Dopo l’incidente di Vermicino la Rai finisce nelle polemiche per quella diretta di 72 ore culminata con la morte di un bambino, mentre la magistratura apre un’inchiesta volta ad accertare la dinamica dello strano incidente che aveva portato un bambino di sei anni 60 metri sotto terra.

Tutte le inchieste si concluderanno con un nulla di fatto. Angelo, malato di diabete, è rimasto invalido a seguito dell’amputazione di una gamba e ha bisogno di assistenza continua che riceve nella comunità della provincia romana.

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