“Nel nome del Padre”, storia di riscatto nella terra di Gomorra

Il cast alla prima al Cinema Teatro Barone

E’ nei cinema “Nel nome del Padre”, esordio di Gabri Gargiulo, una storia di redenzione e riabilitazione che si candida ad essere l’anti-Gomorra

In questi giorni i cinema di tutto il mondo sono invasi dal capitolo finale della saga degli Avangers: in una sola volta sono riuniti tutti i supereroi targati Marvel per l’ultimo epico scontro. Domenica scorsa, invece, al Cinema Teatro Barone, a Melito, comune dell’hinterland partenopeo, c’è stata la premiere di “Nel nome del padre”, un piccolo gioiello del cinema d’autore italiano che ha entusiasmato gli spettatori che hanno affollato la sala del Cinema Teatro Barone.  Opera prima del giovane regista partenopeo Gabri Gargiulo, patrocinato dal Ministero della Giustizia e co- prodotto con Vincenzo Ferraro e patrocinato dal Comune di Napoli e da quelli dell’hinterland tra Giuliano, Melito, Villaricca, Marano, Somma Vesuviana e Monte di Procida oltre che dalla Curia di Napoli, il film narra il percorso di rinascita di Diego, interpretato da Giovanni Ferraro, che, dopo un veloce apprendistato, scala le gerarchie all’interno di un clan camorristico finché non si pente ed intraprende un percorso di affrancamento dal sodalizio criminale, supportato ed aiutato in ciò da un illuminato imprenditore, Giuseppe Trinchillo, impersonato dallo stesso Trinchillo, che gli offre un lavoro quando è ancora recluso in carcere. Una moderna favola di redenzione, dunque, la cui veste formale, però, recependo la lezione di Vygotskij per il quale “la forma confuta il contenuto”, non ha nulla di manierato ed edulcorato: le immagini, infatti, restituiscono tutta la vivida crudezza di un territorio violentato, vilipeso ed inquinato dalla mala pianta della camorra, degne delle migliori pagine del neorealismo. Una suggestione confermata dalla scelta di attori non professionisti accanto a nomi importanti del panorama cinematografico partenopeo e non solo. Tra tutti spicca quello di Walter Lippa, noto per aver prestato il volto a “Carlucciello” nella prima stagione di Gomorra-La serie, che qui conferma in pieno il proprio talento attoriale con un’interpretazione magistrale, senza sbavature o sovratoni; senza, dunque,  cadere nell’oleografia alla “Gomorra” ma mostrando una recitazione essenziale, in perfetta sintonia con la scrittura di un film che parla allo spettatore soprattutto attraverso le immagini dominate da atmosfere plumbee, asfittiche, con un nero quasi soffocante, metafora dell’assenza di speranza in un futuro diverso per chi nasce dalla parte sbagliata della barricata, rischiarato solo dal luminoso esempio di chi concretamente si oppone alla tracotanza camorristica.

“Nel nome del Padre”, storia di riscatto e redenzione: il confronto con Avengers e Gomorra

Gomorra, Avangers, quindi, riferimenti non casuali: in fin dei conti il film “Nel nome del Padre”, per merito della solida sceneggiatura affidata al sicuro mestiere di Barbara Romano, sembra intavolare un dialogo ideale con quelle narrazioni alla “Gomorra” che circoscrivono il destino dei figli delle periferie dimenticate da uno Stato latitante in un orizzonte fatto solo di delinquenza, carcere e morte. Ma è soprattutto nel confronto con la megaproduzione hollywoodiana che l’opera prima di Gargiulo si fa apprezzare. Bertolt Brecht compiangeva quei Paesi che hanno bisogno di eroi ed il motivo ce lo fornisce Luigi Pirandello :  “E’meglio essere galantuomini che eroi perché si è eroi una volta sola, galantuomini tutta la vita”; ed in effetti, i supereroi sono sempre giovani non perché immortali ma in quanto la stagione dell’eroismo dura l’espace d’un matin. Di conseguenza, questo sembra suggerirci l’esordiente Gabri Gargiulo, i veri eroi sono i tanti Diego che, seppur con cadute e ricadute, si mantengono nello stretto sentiero della legalità, non cedendo alle lusinghe del denaro facile su cui fanno leva le organizzazioni criminali per rimpinguare le fila delle loro manovalanze,  e  gli imprenditori alla Trinchillo che, in ossequio al dettato dell’art. 42 della Costituzione, indirizzano la loro attività d’impresa non alla ricerca del profitto ma avvertono la responsabilità di dover concorrere al progresso civile ed al benessere dell’intera collettività. Negli anni ’90 ci fu una levata di scudi, capeggiata da Federico Fellini, del mondo del cinema che, al grido di “un’emozione non s’interrompe”, protestava contro le interruzioni pubblicitarie durante la messa in onda dei film in televisione. Ebbene lo spettatore potrà prolungare quelle intense emozioni che gli avrà lasciato la visione de “Nel nome del Padre” leggendo il saggio di Valentina Soria, “La leadership nella Pubblica Amministrazione. Viaggio nel penitenziario di Lauro quale laboratorio di creatività e sperimentazione”, incentrato proprio sulla riabilitazione dei detenuti attraverso il lavoro; così aderente alla filosofia di fondo del film di Gargiulo da esserne una sorta di “negativo” impressionato sulle pagine di un libro. Anzi, il saggio della Soria sta al film “Nel nome del Padre” come i libretti di Giacosa ed Illica ai melodrammi di Puccini: si può godere dell’uno indipendentemente dall’altro ma insieme il piacere estetico ed intellettivo raggiunge l’acme!

 

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