Beppe Navello porta in Italia Marivaux: “Il suo teatro, moderno e psicanalitico”

L’esperimento del regista piemontese regala a Marivaux un meritato approdo al grande pubblico dello Stivale portando in scena ‘La seconda sorpresa dell’amore’.

Amare l’Italia e gli italiani nella Francia settecentesca, per poi approdare davvero nella cultura dello Stivale solo secoli dopo. Un destino curioso quello di Pierre de Marivaux incline, nel teatro post-Moliére, a dedicare il suo genio al Théâtre des Italiens piuttosto che alla Comédie française. Eppure, tranne che per sporadici tentativi, lasciato alla sua Francia senza tentativi concreti di mettere in scena le sue creazioni. Regalare al pubblico emozioni e spunti di riflessione non può essere un’operazione equiparabile al riempimento di un vuoto culturale. Ma ben venga se il tentativo finisce per fondere le due cose.

E la seconda sorpresa dell’amore (ha debuttato all’Era di Pontedera il 21 novembre), firmata dal drammaturgo francese, approda nel nostro Paese per la prima volta con la regia di Beppe Navello con un duplice intento: riaprire una finestra troppo a lungo chiusa su Marivaux e richiamare il pubblico a un divertente quanto profondo confronto con sé stesso. Non tanto nella sua capacità di godersi un’opera teatrale appieno, quanto nel riconoscersi nello scioglimento di un intreccio in cui, per quanto l’esito sia noto fin da subito, ci si affanna a capirne la ragione. Per scoprire che il confronto con il sentimento può essere risolto solo dalla sua accettazione. “Spero che il pubblico possa sentirsi coinvolto”, racconta Navello a CheNews.it. Del resto c’è bisogno di un’interazione genuina. Non solo per rendere giustizia a un grande autore ma per riscoprire il gusto di una relazione emotiva diretta.

Beppe Navello e Marivaux: “Il pubblico è parte della scena”

Un banco di prova interessante portare in scena La seconda sorpresa dell’amore. Un’opera che approda per la prima volta in Italia nella sua interezza. Eppure che sembra poter dire molto al pubblico moderno, del quale punta a ricercare un coinvolgimento diretto…“Spero che questo accada. E’ una commedia di forma classica ma che tratta temi attualissimi, come succede alla poetica di Marivaux. E cioè di sottile confine tra sentimenti e buonsenso, la ragione tra le emozioni e il controllo del proprio comportamento. È un eterno conflitto umano. E lui, in un’epoca di razionalismo talvolta esasperato, della capacità della ragione di cancellare ingiustizie e di immaginare un mondo migliore ma spesso a discapito delle esigenze dell’anima e dei sentimenti e dell’irrazionalità, ha ritrovato molto questa esigenza. E tutti i suoi personaggi si muovono dentro questo conflitto”.

Un racconto prossimo a tutte le epoche?
“Si tratta di una storia di amore che viene negata. I due protagonisti, reduci entrambi da una forte delusione amorosa, si promettono amicizia per confortarsi, attraverso letture edificanti sul potere dell’amicizia rispetto al disordine amoroso. La sorpresa – che non è tale, perché nella forma marivaudiana tutti sanno fin dalla prima scena l’esito della vicenda -, si trovano ad accettare l’amore come forza creativa dell’esistenza. Tutto viene rappresentato in una commedia divertente, in cui tutti gli elementi della commedia classica settecentesca sono presenti, dai servi e i padroni a un personaggio caricaturale, quello dell’illuminista che legge opere di razionalista per rafforzare i buoni propositi dei due protagonisti. Una vicenda particolarmente animata dal punto di vista dell’intreccio teatrale”.

Qualcosa non troppo distante da noi…
“Penso che abbia molto da dire al pubblico contemporaneo. E, come ricordavamo, è la prima volta che viene tradotta e recitata in italiano. Ci sono stati un paio di tentativi, incursioni di questo testo in edizioni della Comédie française al Piccolo di Milano e al Festival di Spoleto, ma si tratta di episodi lontani nel tempo. Speriamo che sia un incontro felice con il pubblico”.

La particolarità della commedia si intreccia al momento storico: è stato difficile adeguare una recitazione così complessa a un periodo altrettanto complicato?
“Assolutamente, ed è un periodo che speriamo non debba replicarsi. Naturalmente abbiamo fatto tutto rispettando rigorosamente i protocolli sanitari. Abbiamo provato, recitato e agito in condizioni che soltanto tre anni fa sarebbero state considerate impraticabili per arrivare a un buon risultato artistico. Ma purtroppo questi sono i tempi”.

La riscoperta di un autore

A una prima occhiata sembra un racconto che si attaglia alla perfezione al pubblico italiano: l’enfasi, la gestualità, la passionalità della nostra cultura sono caratteristiche che rispondono forse più di altre a un racconto divertente ma allo stesso tempo maturo sul tema dell’amore.
“Certamente. Tra l’altro, a proposito di questo, è da ricordare che Marivaux amava particolarmente l’Italia e ha scritto quasi esclusivamente per gli italiani. Quello che era il teatro italiano a Parigi, gli eredi della Commedia dell’arte arrivati due secoli prima. Questo teatro che operava all’Hotel du Bourgogne e che al pubblico piaceva moltissimo, Marivaux lo preferiva alla Comédie française, che riteneva più enfatica, più incline alla grande recitazione della tragedia classica. Lui amava scrivere proprio per il teatro dei ruoli del Bourgogne, dei caratteri fissi. E questa commedia è una delle poche che, invece, è andata in prima rappresentazione alla Comédie française per ragioni di dissidi sulle parti, perché era in realtà stata chiesta e scritta per gli italiani. Marivaux, stanco dell’attesa, la diede al teatro francese. Anche questo, quindi, può essere considerato un ritorno doveroso a un Paese che l’autore amava molto”.

L’intreccio parte dal presupposto che gli attori siano gli unici a non “capire” effettivamente dove il tutto andrà a parare… Come si incontrano il lavoro di prosa e l’abilità attoriale nel coinvolgere il pubblico in un quadro simile?
“C’è un grandissimo lavoro di scrittura. La prosa di Marivaux è diventata proverbiale, il cosiddetto marivaudage. Un modo di parlare dei personaggi molto preciso, molto analitico e attento a trovare il significato giusto di ogni cosa e di ogni atteggiamento umano. Staccando il capello in quattro per riuscire a dare una definizione giusta di ogni momento del racconto. Tanto che, addirittura, ebbe all’epoca delle critiche da parte di avversari illustri, fra cui Voltaire, secondo il quale pesava delle uova di mosca su bilance di tele di ragno. Per dire che c’era un eccesso di ricchezza semantica e lessicale. Da parte degli attori ci dev’essere questo sforzo attento e approfondito per riuscire a penetrare il significato delle cose che dicono. Un’altra testimonianza dell’epoca dice che Marivaux pretendeva dai propri attori che recitassero in modo da non capire cosa dicevano. E che invece doveva essere facilmente capito dal pubblico”.

Come?
“In fondo è un atteggiamento moderno, un procedimento ‘psicoanalitico’. Chi va dallo ‘psicanalista’, in questo caso il pubblico che riesce a penetrare meglio l’atteggiamento del ‘paziente’ attore, crede di non capire le cose che racconta. Invece, chi lo ascolta capisce perfettamente ciò che dice. È un procedimento interessante che con gli attori abbiamo cercato di perseguire. Saranno gli spettatori a dirci se ci siamo riusciti o no”.

Forse è il modo giusto per creare l’empatia ricercata. In fondo sono situazioni che ci accomunano un po’ tutti, anche nella capacità di ironizzare su noi stessi e sulla nostra presunta incapacità di comprendere appieno le nostre azioni e soprattutto i nostri sentimenti…
“È vero. Non è facile, soprattutto attraverso un racconto divertito. Si tratta di una piacevolissima commedia fatta di colpi di scena, equivoci e di tutti gli elementi della commedia classica. Ma dietro ci sono atteggiamenti culturali che rappresentano ciò che succede in una contemporaneità che noi dovremmo conoscere bene”.

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La nostra cultura, anche scolastica, ci ha avvicinato più ad autori come Moliére. E perlopiù in modo nozionistico. Può essere un’occasione per aprire una finestra sulla prosa di Marivaux?
“E’ verissimo che Marivaux è un autore che non è mai riuscito a imporsi fra gli autori italiani. Ci sono stati episodi importanti, come la regia di Strehler de L’Isola degli schiavi che appartiene però al filone utopistico, peraltro altrettanto interessante dei sentimenti. Però, a parte questi episodi, ci si è occupati di Marivaux in maniera sporadica. In generale c’è una diffidenza nei confronti di questo autore, perché patisce forse un confronto che non dovrebbe esistere con Goldoni, però più vivace, popolare e meno intellettualistico. E questo va a discapito di una migliore conoscenza di questo autore straordinario”.

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