Myanmar, dopo il colpo di stato l’esercito torna a dettare legge (VIDEO)

Dopo due settimane dal “colpo di stato” dell’esercito, nel quale è stata arrestata la leader Aung San Suu Kyi.

 

Il Myanmar è sempre di più, di giorno in giorno, uno stato meno democratico e governato dall’esercito.

Il controllo politico e militare dei soldati, come era prima delle elezioni democratiche del 2015 è sempre più grande e potente, soprattutto dopo l’incarcerazione della leader politica Aung San Suu Kyi, la quale nel 1991 era stata eletta premio Nobel per la pace.

Questa era stata già una dissidente nel paese per la sua politica liberale e per questo motivo era stata posta agli arresti domiciliari per circa 15 anni.

Questo evento ha portato una forte repressione nel paese, con l’esercito birmano che è arrivato addirittura a schierare i carri armati per bloccare le proteste.

Myanmar, dopo il colpo di stato l’esercito torna a dettare legge (VIDEO)

La repressione riguarda anche il blocco dei mezzi di comunicazione nel paese, che secondo NetBlock, ha visto una scarsa connessione in tutto il paese a partire da ieri.

L’Assistance Association for Political Prisoners Burma (AAPPB), associazione per l’assistenza ai prigionieri politici birmani, ha detto che tutto ciò è servito a instillare nella popolazione «la paura di raid notturni», dato che in sostanza la polizia può effettuare perquisizioni senza l’autorizzazione di un giudice.

Suu Kyi, che durante la sua prigionia era probabilmente la dissidente più famosa e celebrata del mondo, negli anni più recenti ha deluso molti dei suoi sostenitori soprattutto perché il suo governo, che in parte ha continuato a dipendere dal potere dei militari, ha dapprima ignorato e poi difeso la persecuzione della minoranza musulmana dei rohingya, compiuta dai militari a partire dal 2017 e considerata da molte organizzazioni internazionali come un genocidio.

In Occidente, molti commentatori hanno chiesto che le fosse ritirato il premio Nobel, mentre altri hanno interpretato la difesa delle azioni dell’esercito da parte di Suu Kyi come un atto di realismo politico e un tentativo di preservare il fragile processo di democratizzazione del Myanmar.

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