E’ un’infermiera di trent’anni, a Londra da 6: “Ho solo il braccio un po’ indolenzito”, ha raccontato a Il Resto del Carlino.
Si chiama Elena e di professione fa l’infermiera al Croydon University Hospital di Londra. E, visto che il Regno Unito è stato il primo Paese a dare il via alla campagna vaccinale, l’addizione dei due fattori ha fatto sì che fosse lei la prima italiana a ricevere il vaccino anti-Covid della Pfizer-BioNTech. Trent’anni, da 6 nella capitale britannica dopo la laurea conseguita nel 2014. L’infermiera ha fatto sapere di star bene e di aver reagito senza troppi problemi alla vaccinazione.
“Sto benissimo – ha raccontato a Il Resto del Carlino – per ora nessun effetto collaterale a parte il braccio un po’ indolenzito“. La giovane è stata fra le prime a essere vaccinate poiché nel suo ospedale lavora a stretto contatto coi malati di Covid più gravi. La notizia è arrivata in breve tempo in Italia ed è stata accolta con sollievo, soprattutto dai familiari.
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Elena ha raccontato di rientrare “nella categoria degli operatori ad alto rischio occupazionale“ e di non aver “mai avuto dubbi” sul fatto di voler fare il vaccino. Al quotidiano bolognese ha raccontato di essere “contenta di essermi vaccinata, sia per proteggere me stessa sia per non diventare un veicolo di contagio verso pazienti, amici e familiari”. L’infermiera ha infatti spiegato di lavorare proprio nei reparti dove vengono accolti i casi più problematici di Covid-19: “Mi occupo delle ventilazioni e dei caschi“.
Modenese, probabilmente trascorrerà il Natale Oltremanica, nonostante manchi da casa ormai dall’estate scorsa. “La mia città mi manca molto, so che anche lì la situazione è drammatica e i miei colleghi stanno facendo l’impossibile”. Per quanto riguarda la sua professione, il trasferimento in terra britannica le ha giovato: “Qui a Londra mi sento realizzata, la mia professionalità è appagata anche sotto il profilo economico. Riesco a mantenermi in un appartamento da sola a Londra e a mettere da parte qualche risparmio”.
Dall’Italia, notizie sulla pandemia, in tutte le sue declinazioni. “Quando parlo con i miei colleghi italiani, di Modena, mi raccontano di come, malgrado stiano rischiando la vita, spesso non venga riconosciuta la loro professionalità e mi dispiace”.
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