Gli inquirenti romani, sulla morte di Regeni, emettono informazioni di garanzia per alcuni 007 egiziani. Fra i reati contestati, sequestro di persona pluriaggravato e concorso in omicidio aggravato.
Quattro anni, quasi cinque, dalla morte di Giulio Regeni, due di indagine da parte della Procura di Roma. Che ora chiude un fascicolo che, probabilmente, porterà a processo quattro membri dell’Intelligence egiziana. Questo, sulla base di altrettante informazioni di garanzia emesese dagli inquirenti che cercano di far luce sull’uccisione dello studente italiano, avvenuta probabilmente nel febbraio 2016. Le accuse, a vario titolo, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.
Sul registro degli indagati c’era anche una quinta persona, per la quale è stata chiesta però l’archiviazione. La Procura, a tal proposito, spiega in una nota che “non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio”. Non così per gli altri quattro, per quello che rappresenta il primo passo concreto per cercare di far luce sul delicatissimo caso.
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I nomi sul tavolo della Procura sono quelli del generale Tariq Sabir e di altre tre persone: Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Per tutti loro, la notifica degli avvisi di garanzia è avvenuta con il “rito degli irreperibili”. Su tale punto, i magistrati di Roma avevano chiesto collaborazione (invano) ai colleghi del Cairo, senza tuttavia avvicinarsi alla soluzione. Nemmeno durante i vari incontri tenuti negli anni con gli investigatori egiziani.
Dopo la notifica, la procedura prevede venti giorni di tempo per gli indagati (e i loro legali) per presentare le loro memorie oppure per inoltrare richiesta di testimonianza. Le informazioni di garanzia sono state consegnate ai difensori d’ufficio, in quanto mai arrivata l’elezione a domicilio degli indagati. Fra le accuse, a ogni modo, non rientra il reato di tortura, vista l’introduzione nel 2017.
Regeni, dottorando friulano dell’Università di Cambridge, si trovava al Cairo per una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Il 25 gennaio 2016 era scomparso nel nulla, per poi essere ritrovato privo di vita il 3 febbraio successivo, con evidenti segni di tortura. In particolare, lesioni, abrasioni e numerose fratture, riconducibili a un severo pestaggio. L’autopsia aveva inoltre rivelato la presenza di una frattura a una vertebra cervicale. Da lì, l’inizio di un’odissea per la famiglia, in attesa della verità ormai da quasi cinque anni.
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