Coronavirus in carcere: nessun contatto con l’esterno, detenuti senza famiglia

Il coronavirus è scoppiato nelle carceri italiane ma in pochi ne parlano: non si hanno notizie di detenuti e detenute, è allarme.

Il Capo del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria), Petralia, si dice preoccupato per gli operatori che lavorano nelle carceri e lancia loro un videomessaggio in cui augura il meglio a tutti quelli che lavorano dentro le mura. Fin qui tutto bene, giusto e doveroso anche perché, soprattutto gli agenti della penitenziaria, vivono come se dietro le sbarre ci fossero anche loro, con turni stressanti, personale carente a fronte di un sovraffollamento preoccupante di detenuti.

Quella che manca è però la voce di chi dovrebbe sostenere anche i carcerati, che saranno pure gli ultimi per qualcuno, ma che stanno pagando ad altro prezzo gli errori di una vita sbagliata. Detenuti e detenute costretti a vivere in spazi angusti: in celle nate per ospitare due persone se ne possono trovare anche cinque. Un problema, quello del sovraffollamento, di cui si discute da decenni, ma mai risolto, neppure dopo che l’Europa ha multato l’Italia per ‘torture’ e ambienti disumani.

E ora ci si è messo pure il coronavirus, che colpisce guardie e ladri nella stessa maniera, senza nessuna distinzione: per una volta agenti e detenuti remano sulla stessa barca. e sono in trappola. In trappola perché nelle carceri piano piano stanno chiudendo tutti i canali di informazione e contatti con l’esterno.

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Coronavirus in carcere: nessun contatto con l’esterno, l’urlo di dolore di una mamma

Sono 758 fra detenuti – distribuiti in 76 penitenziari – e 936 fra gli operatori i casi accertati di positività al coronavirus. A fornire l’aggiornamento dei dati sul Covid nei penitenziari è Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria. “Questa volta, durante la seconda ondata della pandemia, al di là di qualche caso isolato a livello periferico, non notiamo particolari responsabilità che potrebbero essere imputate all’Amministrazione penitenziaria, la quale, per quanto possibile alle condizioni date, si è adoperata al meglio per fornire dispositivi di protezione individuale in numero adeguato e ha diramato importanti direttive per prevenire e isolare il contagio”.

“Con il virus che sembra dilagare e del quale chiediamo alla comunità scientifica e a chi di competenza di calcolare l’indice di contagio (Rt) in carcere – continua il leader della Uilpa penitenziari – si impongono urgenti e ulteriori misure da parte del Governo, che muovano su tre principali direttrici: ridurre il numero dei detenuti; il rafforzamento e supporto efficace della Polizia penitenziaria  e soprattutto il potenziamento incisivo dei servizi sanitari nelle carceri”.

Il Dap dunque sembrerebbe fare di tutto per salvaguardare la salute di detenuti e operatori, ma il grido di allarme della mamma di una detenuta al carcere femminile di Rebibbia, è inquietante. “Sentivo mia figlia quasi ogni giorno – confessa Anna Maria – improvvisamente non mi ha più chiamato, nè scritto mail, sparita. E nessun volontario può entrare in carcere – continua – li hanno isolati, sono soli là dentro”.

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