Allarme latte: traccia di sostanze sospette, i marchi che sono a rischio

Un’inchiesta pubblicata sulla rivista Il Salvagente ha portato alla luce un’importante verità riguardante il latte italiano.

Latte
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Bere il latte non è più un’azione tranquilla, almeno stando all’inchiesta de Il Salvagente. La nota rivista ha preso in esame uno studio condotto congiuntamente dall‘Università di Napoli Federico II e da quella di Valencia inerente il latte, compreso quello prodotto da alcune grandi marche italiane.

I risultati hanno svelato una realtà che ovviamente di primo impatto lascia decisamente perplessi. Infatti, all’interno dei vari tipi di latte esaminati, è stata riscontrata la presenza di antibiotici e farmaci all’interno.

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Latte, i marchi contaminati e i farmaci trovati all’interno

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Latte (Fonte:Pixabay

L’aspetto che desta maggiori perplessità è quello relativo ai marchi coinvolti nella vicenda. Figurano tra gli altri Parmalat, Granarolo, Coop, Conad, Lidl, Carrefour ed Esselunga. 

Per quanto concerne invece ciò che è stato rinvenuto all’interno, i farmaci riscontrati con una frequenza maggiore sono daxamethasone (cortisonico), il neloxicam (si tratta di un antinfiammatorio) e l’amoxicillina (antibiotico). I quantitativi però sono piuttosto bassi, con un picco massimo di 1,80 mcg/kg.

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Antibiotici e farmaci…non sono propriamente delle anomalie

Ad onor del vero però non si tratta di una novità assoluta, in quanto, gli antibiotici in diversi casi vengono utilizzati per curare la mastite nelle vacche. Per questo può capitare che qualche residuo finisca nel latte. A quanto pare però si tratta di una dose a norma con i limiti di legge, che in parte placa i fisiologici allarmismi del caso. L’unico rischio è per i neonati e i bambini, i quali potrebbero incorrere nel rischio di assuefazione da medicinali e di formazione di batteri resistenti agli antibiotici. 

Dal canto loro, le aziende si sono mostrate favorevoli a fare le analisi del caso per cercare di risolvere il problema e rassicurare così le persone. D’altronde l’obiettivo di questo studio non era quello di gettare fango sulle case produttrici, bensì cercare di trovare una soluzione per garantire la massima prevenzione.

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