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Cronaca

Terrorismo, parla il pentito della Jihad: 15 arresti in Sicilia

Auto, Carabinieri (djed, Pixabay)

La Dda di Palermo, nata dalle parole di un pentito della Jihad, ha disposto 15 provvedimenti di fermo in Sicilia per diverse accuse tra cui terrorismo

La Dda di Palermo ha disposto 15 provvedimenti di fermo in Sicilia, per diverse accuse tra cui terrorismo, dopo aver sentito le dichiarazioni di un pentito della Jihad.

I provvedimenti di fermo sono arrivati a 15 persone accusate di istigazione a commettere delitti in materia di terrorismo e associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Inoltre, le accuse parlano anche di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ingresso illegale di migranti nel territorio nazionale ed esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria.

L’inchiesta è partita dalle parole di un uomo in carcere a Genova: “Vi sto raccontando quello che so perché voglio evitare che vi troviate un esercito di kamikaze in Italia”.

L’indagine, come detto quindi, è scattata grazie alla collaborazione del detenuto nel carcere di Genova.

L’uomo ha raccontato agli inquirenti di essere a conoscenza dell’esistenza di una organizzazione criminale.

Quest’ultima gestiva un traffico di esseri umani, contrabbandava tabacchi e aiutava ad espatriare soggetti ricercati in Tunisia per reati legati al terrorismo.

Terrorismo, parla il pentito della Jihad: 15 arresti in Sicilia. L’inchiesta

L’inchiesta, condotta dal Ros dei carabinieri coordinati dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Gery Ferrara e Claudia Ferrari, vede al centro la tratta di migranti dalla Tunisia a bordo di scafi veloci.

Gli appartenenti all’organizzazione criminale avrebbero rappresentato “una attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale“, secondo quanto affermato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, guidati da Francesco Lo Voi nel provvedimento di fermo.

“Rischio terrorismo di matrice jihadista”, è quanto affermato dagli investigatori.

Secondo quest’ultimi, “sussistono significativi ed univoci elementi” per ritenere che l’organizzazione sia tutt’ora pericolosa perché fornisce “a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto gravati da precedenti penali o di polizia ovvero sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale“.

Nello specifico, uno degli indagati risulta essere contiguo “ad ambienti terroristici a sfondo jihadista pro Isis in favore di cui, attraverso la sua pagina Facebook, ha posto in essere una significativa azione di propaganda jihadista con incitamento alla violenza ed all’odio razziale”.

Inoltre, un “ulteriore segno di radicalizzazione a sfondo religioso” è rappresentata, secondo gli inquirenti, dall’iscrizione dell’indagato al gruppo Facebook “Quelli al quale manca il paradiso”.

Sul suo profilo Facebook, sottolineano ancora gli inquirenti, trovati video e foto che inneggiavano all’Isis ed immagini di decapitazioni.

Sui social, l’indagato scriveva: “Il martirio e la jihad la sola via per aspirare al paradiso”. L’uomo è ritenuto uno dei cassieri dell’organizzazione e i pm sospettano che abbia usato il denaro guadagnato coi viaggi nel Canale di Sicilia anche per finanziare attività terroristiche.

Leggi anche –> Siria, combatteva con i curdi: morto un italiano di Bergamo

 

 

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